Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino (Christiane F.)

 “Una volta ho chiesto stupidamente perché tutto quello che facevamo non potevamo farlo anche senza stravolgerci. E quelli mi hanno detto che era proprio una domanda cretina. Come ci si potrebbe altrimenti liberare di tutta la merda che uno vive durante il giorno?”

Così scrive nelle ultime pagine Christiane Vera Felscherinow, protagonista e autrice del famoso romanzo autobiografico “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” pubblicato nel 1978. Un racconto che, ancora oggi, a circa trent’anni dalla sua pubblicazione, è in grado di far male. Ma far male sul serio.

E fa male soprattutto rendersi conto che un libro del genere possa essere etichettato superficialmente come “libro sulla droga”.

Niente di più sbagliato, a mio parere.

 

Questo romanzo, o meglio ancora documentario, ci dà la possibilità di scrutare attraverso gli occhi prima pudici e timorosi, poi spavaldi ed infine rassegnati di Christiane una Berlino tetra, oscura, imprendibile. Occhi che smascherano, a poco a poco, tutta l’ipocrisia di quel mondo piccolo-borghese che, purtroppo o per fortuna, è ancora il nostro. È in questa Berlino che Christiane inizia a fumare hashish a soli 12 anni per poi iniettarsi la sua prima dose di eroina quando ne aveva appena 13 e diventare una bucomane a 14 anni compiuti.

Drammatico. Questo è l’unico aggettivo che ho saputo dare all’intero racconto, non appena ho finito di leggerlo. Soprattutto perché racconto non è, ma realtà. Cruda realtà.

Per tutto il viaggio, o meglio, volendo usare il linguaggio consono, il trip assurdo che è stata la sua adolescenza, ho avuto la sensazione che fosse Christiane a sussurrarmi cosa fare, dove guardare, cosa notare. Il suo è un racconto dettagliato, freddo, distaccato, così critico da lasciare stordito il lettore più arguto. Già, perché in fondo è lei, seduta in una piccola stanza semibuia, di fronte a quei due uomini in camicia, a parlare, a vuotare il sacco su se stessa: le sue fragilità, le sue debolezze, i suoi errori.

Lei ragazzina, lei Christiane, lei Vera, lei donna, lei ancora e sempre bambina.

Il libro, infatti, nasce da un’idea di due giornalisti, Kai Hermann e Horst Rieck, che stavano indagando sulla situazione dei giovani nella Berlino tra gli anni ’70 e ’80. Le chiesero un’intervista di due ore, che poi divennero due mesi.

Da intervistatori ad ascoltatori, proprio come noi, lettori, in grado solo di seguire passo dopo passo le scelte di Christiane.

La guardiamo sbagliare, giudicare, impazzire, ricredersi, ricominciare, cadere ancora e ancora e ancora. L’ascoltiamo strillare, chiedere aiuto, sentendoci terribilmente impotenti. A volte capiamo, altre mille no. La guardiamo e quasi non riusciamo a giudicare.

Non riusciamo a giudicare la madre, costante assenza/presenza nella sua vita. Non riusciamo a giudicare il padre, seppur violento. Non riusciamo a giudicare Detlef, Babsi, Stella o Axel. Nomi. Nomi di ragazzi che vivevano in quel Bahnhof Zoo, senza una meta né un letto, senza un sogno se non quello di rimediare il quartino giornaliero evitando di prostituirsi.

E l’amore? L’amicizia? C’è spazio, tra una pera e l’altra, per questi sentimenti? A volte sì, a volte no. Dipende da quanto stai a ruota.

C’è spazio per la musica, quella di David Bowie, che canta a squarciagola “we can be heroes, just for one day”.

C’è spazio per i jeans stretti, le giacche attillate.

Non c’è abbastanza spazio per l’amore, né per sé stessi né per gli altri. È solo un miraggio, debole. Come quella casa che Christiane sognava dopo ogni disintossicazione.

C’è tanto spazio, troppo, solo per la morte. Quella che, ad un certo punto, ogni bucomane inizia ad aspettare, quasi a desiderare. Lenta, languida, inesorabile. Sanno che lei aspetta loro come loro aspettano lei. Non c’è paura, solo attesa. Quella morte che nel 1977, a Berlino, si prese 80 ragazzi. Li strappò da una vita che non avevano ancora realizzato di avere.

 

Beh, cara Christiane, tu sei sopravvissuta. La morte non ti voleva.

Ed hai raccontato. Hai urlato. Ed io ancor ne sento l’eco, come vedi.

Chissà se, però, l’hai trovata quella “qualche altra cosa che dà un significato alla vita, che non si vedeva”. Chissà se hai mai trovato, per davvero, qualcuno che ti ascoltasse, non come pubblico, ma come amico. Chissà se qualcuno è riuscito finalmente a penetrarti lo sguardo.

 


Christian Vera Felscherinow (1962) è nota in tutto il mondo per Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, un longseller da 18 milioni di copie. Dopo aver tentato la carriera musicale, ha avuto una ricaduta nell’eroina, in seguito alla quale si è sottoposta ad un programma di disintossicazione. Vive a Berlino e ha un figlio.

 

Mariana Palladino

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