Micat in Vertice, è la volta del Quartetto Aris: recensione del concerto ed intervista

Attenzione attenzione, la nave di Quattroequaranta tocca terra di nuovo! Questa settimana, un po’ per pigrizia e un po’ per mancanza di carburante, siamo sbarcati ancora all’Accademia Chigiana nell’ambito della novantaquattresima edizione della rassegna musicale “Micat in Vertice”, che è ormai diventata un’istituzione nel panorama non solo senese ma nazionale.

Venerdì scorso è salito sul palco della splendida sala Chigi-Saracini un quartetto d’archi di musicisti giovanissimi: pensate che nessuno di loro arriva ai trent’anni! Questa formazione, dal pittoresco nome di Quartetto Aris, nasce nel 2009 a Francoforte sul Meno ed è composta da due ragazze e due ragazzi: Anna Katharina Wildermuth (violino), Noemi Zipperling (violino), Capar Elia Vinzens (viola) e Lukas Benedikt Sieber (violoncello).

La loro formazione avviene ovviamente in Germania, ma anche in Spagna e qui a Siena, e si esibiscono in molti dei principali festival internazionali (in Germania, Austria, Italia, Francia, Spagna e Australia), vantando anche registrazioni radiofoniche e grandi apprezzamenti dalla stampa specializzata. Il Quartetto Aris non disdegna compositori più moderni, un elemento più unico che raro nel mondo della musica classica: nel loro CD di esordio, uscito nel 2015, i ragazzi ci propongono, oltre ad Haydn, anche Reger e Hindemith. Insomma, è un vero e proprio concentrato di talento.

il Quartetto Aris: da sinistra Anna Katharina Wildermuth. Capar Elias Vinzens, Noemi Zipperling, Lukas Benedikt Sieber

Tre sono stati i brani eseguiti dal quartetto: il classicissimo Quartetto in sol minore op.74 n.3 di Franz Joseph Haydn (Rohrau, 1732 – Vienna, 1809) (YouTube e Spotify), il bizzarro Quartetto in si bemolle maggiore n.5 di Bèla Bartòk (Nagyszentmiklòs, 1881 – New York, 1945) (YouTube e Spotify) e infine il fantasioso Quartetto n. 14 in do diesis minore op. 131 di Ludwig van Beethoven (Bonn, 1770 – Vienna, 1827) (YouTube e Spotify). I quattro ragazzi hanno dato subito l’impressione, fin dalla prima nota, di essere totalmente affiatati ed in sintonia: a parte qualche disattenzione del violoncellista (dovuta sicuramente all’impegno richiesto dal repertorio, che non è affatto facile come può sembrare), i quattro suoni fluivano in armonia costante. Elemento di congiunzione tra i due violini e il violoncello è stata la viola, che con i suoi timbri sia acuti che gravi passava continuamente il tema da una sezione all’altra come se fosse stato un pallone.

Il Quartetto Aris ha dimostrato con Haydn di saper padroneggiare perfettamente la musica del padre dei quartetti d’archi, creando un’atmosfera conviviale che è stata poi subito distrutta con Bartòk. Mi permetto di commentare soggettivamente: è stato una figata. Ad un certo punto non si sapeva quale strumento stesse eseguendo il pizzicato (tecnica violinistica che consiste nel pizzicare le corde come se fossero quelle di una chitarra, ndr) e quale no, cercavo di seguire con lo sguardo gli archetti ma era impossibile, sembravano delle anguille. Era una folle danza di zingari intorno ad un falò. Beethoven mi ha conquistata un po’ meno, forse perché i movimenti si susseguivano senza interruzioni e ciò a lungo andare lasciava disorientati. Comunque, pur essendo giovanissimi, hanno saputo esprimere benissimo l’animo inquieto del grande Beethoven, che si esprimeva nell’alternanza tra ritmi più distesi e veloci scatti d’ira. Dopo lunghi e meritatissimi applausi hanno concesso al pubblico della Chigiana un bis, il Finale dal Quartetto n. 12 in fa maggiore op. 96 di Antonin Dvořàk (Nelahozeves, 1841 – Praga, 1904) (YouTube e Spotify), detto anche Americano: ascoltandolo sembra di essere catapultati nella prateria del Far West.

Anna Katharina Wildermuth

Ognuno di questi brani meriterebbe pagine e pagine di commenti, ma questa volta ho deciso di proporvi una cosa nuova. Sono infatti riuscita ad intervistare Anna Katharina Wildermuth, che si meriterebbe una statua solo per la velocità con cui mi ha risposto e per la simpatia che traspare dalle sue risposte.

Come sei diventata appassionata di musica, e perché hai deciso di diventare una musicista?

Sono cresciuta in una casa di musicisti, mia madre è una pianista e la musica mi è sempre stata intorno. Quando avevo sei anni ho ascoltato un concerto di un giovane violinista e rimasi così impressionata che chiesi ai miei genitori di poter suonare il violino! Per me studiare musica è stato anche un processo naturale, così come lo è stato diventare una musicista di professione… E’ dura lavorare come una musicista freelancer, ma è anche una grande felicità e un dono.

Secondo te in che modo è possibile avvicinare i giovani alla musica classica?

Oggigiorno abbiamo soprattutto un surplus di musica nuova, soprattutto per quanto riguarda la musica di intrattenimento. É necessario far capire ai giovani che la musica classica non è una cosa elitaria e che ci sono tantissime opere incredibilmente grandi che possono essere alla portata di tutti. Ci siamo anche esibiti in concerti per bambini e giovani e sono sempre stati entusiasti. Basta soltanto fare il primo passo e lasciarsi coinvolgere in qualcosa di nuovo… E’ chiaro che ci sono delle cose che possono aiutare, ad esempio le scuole possono portare gli alunni a dei concerti, ma in fin dei conti ognuno deve scegliere cosa gli piace con la propria testa.

In che modo ascoltare musica classica (e anche studiarla) può influenzare la vita di una persona?

Per me tutto sta nel fatto che la musica classica connette le persone! Anche se si tratta di specifiche epoche o popolazioni o paesi… Quando suoni e ascolti musica non hai più bisogno di un linguaggio, perché essa stessa è un linguaggio così potente che riesce ad esprimersi senza aver bisogno delle parole.

Parliamo del repertorio per il vostro concerto. Che sensazioni provi quando suonate quei brani? C’è una ragione dietro la scelta di questi pezzi?

Vogliamo senza dubbio suonare principalmente brani verso cui ci sentiamo particolarmente affini e con i quali possiamo esprimere qualcosa. Haydn è considerato il padre dei quartetti per archi e ci affascina quanto la sua musica sia energia e creativa. Anche nella vecchiaia è riuscito a scoprire sempre nuova musica, rendendola sempre fresca! Ascoltando il Quartetto in sol minore riuscirete a capire di cosa sto parlando. Bartòk è uno dei più grandi compositori dell’era moderna e il suo Quartetto n.5, che richiede un grande impegno tecnico e musicale, non può assolutamente mancare nel nostro repertorio. Il quartetto consiste in cinque movimenti e il cuore del brano è lo Scherzo alla bulgarese. Tramite questo brano Bartòk si svela come un grande pioniere della musica folk, musica che ha ricercato e studiato per tutta la vita.

Con queste belle parole vi auguro una buona domenica e vi aspetto la prossima!

Federica Pisacane

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