LOST & FOUND: FUKADELIC – MAGGOT BRAIN

IL CONTESTO

Correva l’anno 1971 e in America Ray Tomlinson programma la prima e-mail, mentre in Svizzera viene esteso il diritto di voto alle donne e in Italia sfila a Milano la cosiddetta maggioranza silenziosa, in una protesta anticomunista. Sono questi anni ancora caldi, reduci dalle fiamme lisergiche del Sessantotto e incendiate dai conflitti in Vietnam che continuano, nonostante una grane mobilitazione generale per la pace.

E invece il napalm continuerà a incendiare e a devastare la regione del Sud-Est asiatico ancora per molto, fino al 1975, quando gli americani saranno costretti ad ammettere di aver perso una guerra, la prima vera sconfitta politico-militare per la nazione a stelle e strisce. Nel 1971 veniva ritrovato morto nella vasca da bagno il cantante e frontman dei The Doors, Jim Morrison, mentre, nello stesso anno, il primo Hard Rock Café veniva aperto a Londra.

Continuavano intanto le sanguinose repressioni della polizia contro i manifestanti afroamericani che, dopo gli illustri esempi di M.L. King e Malcom X, si erano inaspriti in posizioni di forte protesta e in organizzazioni di matrice rivoluzionaria; in quell’anno George Jackson, fondatore del Black Panther, venne ucciso brutalmente nel carcere di San Quintino. Nel 1971 nasce il Progetto Gutenberg, avviato da Michael S. Hart, con lo scopo di digitalizzare e di diffondere attraverso la rete i testi scritti dall’uomo (e inizialmente venne fatto attraverso la rete creata dalla Xerox, una delle più grandi produttrici di stampanti e fotocopiatrici).

Contemporaneamente i Pink Floyd registravano a Pompei quello che rimane l’unico concerto rock della storia a porte chiuse.

 

LA VICENDA

George Clinton è il demiurgo che nel 1968 dà forma ai Funkadelic, una formazione che durerà fino al 1981, modificando spesso il numero dei componenti al suo interno. Ma George Clinton è stato anche quel ragazzo che nel 1955 crea i Parliament, dopo averne conosciuto i futuri membri nel salone dello zio, quando guadagnava soldi stirando i capelli agli afroamericani.

Due progetti, quelli dei Parliament e dei Funkadelic, che hanno consacrato il funk all’interno della musica americana; un genere che è diventato distintivo di una certa cultura, quella afroamericana, e che ha dimostrato all’America scettica che i neri sanno suonare e comporre brani di spessore e non solo semplici ritmi danzerecci.

I Parliament sono stati il gruppo di incubazione; nel periodo compreso tra il 1955 e il 1969, anno dello scioglimento, George Clinton e gli altri membri, hanno avuto modo di sperimentare a partire dal genere doo-wop e rhythm and blues, quelle che saranno state poi le marche distintive del genere funk.

Con i Funkadelic (il nome è una crasi tra il termine funk e psicedelic, ndr), il territorio del funk viene sondato ancora più a fondo, tenendo costantemente l’occhio puntato sul presente e componendo brani dall’alto tasso di critica politica. Il colpo grosso però viene segnato dall’album Maggot Brain, la mosca bianca nell’intera discografia del maxigruppo originario di Plainfield, pubblicato proprio in quel 1971 descritto in apertura.

Tutto, a partire dalla copertina, ha una forte componente di iconicità (intesa come un insieme dei segni che rappresentano le diverse realtà1, ndr); l’album è una fotografia a colori della realtà afroamericana degli anni settanta, reduce dalle estenuanti lotte e dalle marce per ottenere dei diritti civili, da una guerra che non sembrava finire e che stava fiaccando l’umore dei soldati e dell’intera popolazione.

La copertina poi è entrata a far parte dell’immaginario collettivo della comunità nera americana e non; una donna sotterrata fino alla testa, con una possente acconciatura afro, colta nell’atto di urlare, mentre dei vermi (maggots, in inglese, ndr) le strisciano attorno. Tralasciando le possibili interpretazioni ermeneutiche attribuibili all’immagine, è singolare e  al contempo scioccante osservare come sul retro del disco sia stata posta la fotografia di un teschio nella stessa ambientazione della copertina, divorato dai vermi.

Un messaggio dalla portata incredibile, che forse non era stato preso in considerazione nemmeno dalla mente del gruppo, George Clinton; quella che appariva sulla copertina di Maggot Brain era la realtà dei neri d’America e forse anche di tanti altri che hanno gridato contro un ordine costituito, il colosso mitologico dell’età moderna, e che si sono ritrovati a marcire tra i vermi di una misera realtà.

 

L’ALBUM

Dopo un album che portava un esilarante slogan (Free Your Mind And Your Ass Will Follow), i Funkadelic si sono chiusi nello studio di registrazione per più mesi per registrare Maggot Brain. Per chi non fosse ancora convinto o non fosse interessato ad ascoltare un intero album di funk e rock psichedelico, può far riferimento esclusivamente alla prima traccia, omonima, Maggot Brain e all’ultima, Wars Of Armageddon; questi due soli brani valgono l’intero album. La leggenda vuole che George Clinton abbia chiesto, durante un suo trip da acido, al chitarrista Eddie Hazel di suonare la chitarra come se fosse appena morta sua madre; il risultato sarebbe stato Maggot Brain, un brano capace di imporsi a icona della protesta di quegli anni, senza nulla da invidiare alle più conosciute canzoni del Dylan impegnato di quei tempi. Un’altra versione di questa leggenda farebbe invece riferimento al ritrovamento di George Clinton del cadavere di suo fratello in forte stato di decomposizione (e qui molti avrebbero ricollegato dunque il termine maggot alla vicenda personale del chitarrista) e che la prima cosa che avesse composto fu il melanconico arpeggio di Maggot Brain, da cui sarebbe partito Eddie Hazel per dilaniare l’orecchio dell’ascoltatore con la sua chitarra.

Wars Of Armageddon, sulla stessa linea apocalittica della canzone di apertura, è una canzone che fa del funk e della sperimentazione psichedelica il suo perno; l’Armageddon è per nella definizione biblica il momento finale in cui le forze del bene sfideranno le forze del male (ancora un’altra allusione alla contemporaneità?) in una lotta decisiva. Nei quasi dieci minuti del brano si raccolgono, si sovrappongono, si mescolano un caleidoscopio di suoni e versi da mettere in difficoltà anche la mente più salda: voci, riff di chitarra, urla, addirittura il verso di un peto e infine il tetro rumore di un’esplosione.

Ma all’ascoltatore fortunatamente rimangono almeno quei quattro secondi finali, in cui può distinguere un cuore che pulsa, ancora.

Le altre canzoni rientrano maggiormente nella logica e nei ritmi del genere funk: il termine nello slang degli afroamericani indica generalmente un cattivo odore, come l’odore sprigionato dal corpo in stato di eccitazione, e per estensione poteva significare “sexy”, “sporco”, “attraente” ma anche “autentico”, cioè originale e libero da inibizioni. E dunque canzoni come Can You Get That, Hit And Quit e Stupid Stupid si allineano sicuramente alla definizione del genere.

C’è anche spazio per una ballad squisitamente soul dal ruffiano titolo I Miss My Baby che accontenta anche quanti sono alla ricerca di sonorità più morbide e meno aggressive per l’orecchio.

Maggot Brain rimane un album apocalittico e una pietra miliare per quanti intendono avvicinarsi al genere del rock e della musica funk; una mosca bianca (forse George Clinton preferirebbe ribaltare i termini e definire il suo album una vera e propria mosca nera) all’interno del panorama musicale degli anni Settanta dalla sconvolgente aggressività dei suoni. E’ un album che divide; come con i Monthy Piton, o lo si ama o lo si odia.

Questo sembra essere comunque il segno valido di una consacrazione artistica in piena regola; ancora oggi molti avvertono una profonda angoscia ascoltando le parole recitate da una lugubre voce fuori campo in apertura della title track, Maggot Brain:

 

Mother Earth is pregnant for the third time

For y’all have knocked her up

I have tasted the maggots in the mind of the universe

I was not offended

For I knew I had to rise above it all

Or drown in my own shit

 

Qui il link per ascoltare l’intero album

 

Leonardo G. Stenta

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