L’oboe e il pianoforte possono regalare un’atmosfera magica?

Non tutti i concerti di musica classica hanno come protagonisti grandi orchestre o uno spettacolare programma concentrato sul pianoforte solista. A volte, per creare un’atmosfera magica, bastano un oboe e un pianoforte. Ma non stiamo parlando di due strumenti (e due musicisti) qualunque.

Paolo Grazia

Ieri, venerdì 7 dicembre, il Salone dei concerti dell’Accademia Chigiana si è riempito della musica di Paolo Grazia (oboe) e Roberto Prosseda (pianoforte), entrambi grandi interpreti del proprio strumento. Il lungo e articolato programma prevedeva le Drei Romanzen op. 94 di Robert Schumann, alcuni Lieder ohne Worte di Felix Mendelssohn Bartholdy, la Sonata per oboe e pianoforte op. 185 di Francis Poulenc (di cui ho parlato qui) e la Sonata in re magg. op. 166 di Camille Saint-Saëns. Tra questi brani per così dire “classici” erano presenti anche due brani contemporanei: D’autres arabesques di Federico Gardella, eseguito per la prima volta in Italia nell’ambito della Micat in Vertice, e Sequenza VII di Luciano Berio.

Il Salone dei concerti di Palazzo Chigi Saracini

Un romanticismo semplice semplice

Il mio solito posto nel Salone dei concerti è in cima (e in piedi): ormai nessuno può più schiodarmi da lì, per quanti tentativi possa fare. Da lì si ha un’ottima visuale sul palco, sul pubblico e sul salone, che mi stupisce ogni volta come se fosse la prima. Le Drei Romanzen ci hanno trascinato immediatamente nel vivo della serata: con la sua disarmante semplicità l’oboe di Grazia ci ha avvolti nella sua musica. Un po’ fastidiosi gli ampi movimenti, ma sono forse stati questi a donare profondità al suono. Grazia sta sul palco senza arroganza, mettendosi alla pari con il pubblico seduto a pochi metri da lui.

La romanza silenziosa

Il pianoforte è diventato protagonista con i Lieder ohne Worte, brani di una bellezza senza eguali. Romanze senza parole, appunto: il pianoforte si mette a cantare, trasportandoci in un’altra dimensione. Nel nostro caso siamo approdati anche a Venezia: due Lieder, infatti, erano dedicati a questa città un po’ surreale, croce e delizia di moltissimi autori di area tedesca. Nei Venetianisches Gondollied si percepisce il fascino criptico e a tratti inquietante di Venezia, dove la realtà si confonde col sogno e tutto rimane sospeso in attesa della beatitudine, o della catastrofe. Forse ho letto troppo Mann…

Roberto Prosseda

Tra classico e contemporaneo, tra immanente e trascendente

Aspettavo la sonata di Poulenc con una certa curiosità. Ponte tra il classico e il contemporaneo, questa sonata rappresenta una vera sfida per l’oboista: salti, note acute da suonare pianissimo e note gravi da eseguire in fortissimo, staccati… Grazia ha saputo gestire tutte queste difficoltà; unica nota stonata, il finale, che avrebbe dovuto essere più etereo, una vera e propria unione tra l’immanenza del mondo terrestre e la trascendenza dell’aldilà. Io, ovviamente, non sono nessuno per criticare un grande artista come Grazia; le nostre idee, semplicemente, divergono.

Altri, indefiniti arabeschi

E a proposito di trascendenza, D’autres arabesques è stato… Non saprei come definirlo. Gardella, nella sua composizione, ha esplorato ogni minima possibilità tecnica ed espressiva dell’oboe: mirabili gli armonici, che danno un senso sia di pienezza che di sfaldamento del suono. L’intero strumento (ma anche il corpo dell’oboista) vibrava con diverse frequenze. Tra l’altro, è stato strano essere le prime persone in Italia ad ascoltare questa composizione: fra cinquant’anni, quando sarà entrata nel canone, potremo dire“io c’ero”. Così come è stato interessante vedere il giovane compositore salire sul palco per gli applausi. Questo dovrebbe far riflettere: anche i grandissimi compositori una volta erano dei semplici autori che sedevano in mezzo al pubblico ad ascoltare, pieni di apprensione per l’esecuzione e, chi più chi meno, la reazione del pubblico.

Federico Gardella (© Andrea Padovani)

Suggestioni manniane

Anche Sequenza VII mi ha lasciata perplessa. Innanzitutto, sul lato puramente visivo: lo spartito era grande almeno il doppio di uno normale, tant’è che Grazia ha dovuto utilizzare due leggii ad altezze diverse, uno davanti all’altro. Poi sul lato prettamente musicale: c’era una nota di fondo (un si naturale, ovvero la tonica) che aleggiava nell’aria senza che fosse possibile capire da dove provenisse. Avremmo scoperto in seguito che, dietro il palco, tre studenti di oboe si alternavano nel produrre quella nota. Per la prima metà del brano sembrava che quella nota uscisse direttamente dall’oboe di Grazia in qualche strano modo. Non so perché, ma ho pensato a un passaggio de La morte a Venezia di Thoman Mann, quando Aschenbach attraversa uno stato delirante nel quale sente in sottofondo diverse voci che urlano qualcosa, compreso il nome di Tadzio.

Nobile semplicità

Il concerto si è concluso con un apparente ritorno all’ordine: dopo tutta questa complessità melodica la sonata di Saint-Saëns è stata una boccata di aria fresca. Anche questo brano, apparentemente così semplice, nascondeva una vena inquietante che sbocciava qui e là come un autentico fiore del male. La progressiva velocità dei movimenti non si è trasformata in isterismo, ma è rimasta gioiosa e scanzonata come la personalità stessa del compositore. Allegria che è tornata nel bis in onore di Rossini con le sue Variazioni per oboe e orchestra, il cui tema mi è rimasto in mente (e mi è stato canticchiato fino allo sfinimento…) rischiando di diventare un ear bug. Per fortuna me lo sono dimenticato.

La virtù dell’innocenza

Complessivamente il concerto è stato bello, ma mi ha lasciata un pochino insoddisfatta e non so nemmeno perché. Forse avrei dovuto fare come il bambino di cinque-sei anni nelle ultime file, che dondolava le gambe ascoltando assorto la musica, senza pensare alle particolarità tecniche e stilistiche ma lasciandosi attraversare dalle melodie. La prossima volta ci proverò: il prossimo appuntamento con la Micat in Vertice è venerdì 14 dicembre con la voce di Elina Duni e un programma incentrato sulle canzoni tradizionali.


Federica Pisacane.

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