Le canzoni Disney e gli artisti italiani, una top 10 (parte 2)

canzoni disney

Concludiamo la top ten cominciata la scorsa settimana, atta a rispondere alla domanda che da sempre vi attanaglia, ma che oggi come mai necessita di una risposta. Come si sono confrontati gli artisti italiani, nei decenni, con le canzoni Disney?

Ripetiamo la doverosa nota metodologica. È stato scelto del tutto arbitrariamente di classificare solo pezzi legati a produzioni Disney, e solo pezzi interpretati da artisti conosciuti principalmente come cantanti. Come vedrete, abbiamo voluto comunque citare anche ciò che da questo elenco è rimasto fuori. Ah, ultima cosa: la classifica è del tutto legata al gusto di chi scrive, quindi è perfettamente opinabile.

Nella prima parte abbiamo visto alcune cose davvero brutte, ma abbiamo anche cominciato ad avvicinarci alla vetta con alcuni pezzi mica male. La top five la vediamo oggi, e siamo abbastanza sicuri che alla fine dell’articolo vi troverete a canticchiare tra voi e voi, provare per credere!


5) MARIO BIONDI – RAPUNZEL

Rapunzel è un momento di svolta importante per la Disney, quello che chiude un decennio di crisi nera e mette le basi per i successi degli anni futuri. Non è esagerato dire che senza il suo successo la Disney non avrebbe probabilmente acquisito la Lucasfilm e la Fox. La stessa Marvel inoltre, avrebbe probabilmente avuto minori risorse. Rapunzel è stato quindi un momento felicissimo e riuscito, e in molti ritengono che gran parte di questo successo sia dovuto al ritorno in casa Disney di Alan Menken.

Chi è Menken? È il re delle canzoni Disney, il compositore dietro alla maggior parte delle colonne sonore dei classici del cosiddetto Rinascimento. La sirenetta, La Bella e la Bestia, Aladdin, Pocahontas, Il gobbo di Notre Dame, Hercules… Avete capito, Menken è un pezzo decisamente grosso. Alan scrive per Rapunzel una colonna sonora indimenticabile, che sebbene perda qualcosa nell’adattamento italiano rimane comunque all’altezza.

Abbiamo già accennato in questa stessa top ten alla sorprendente performance di Laura Chiatti, ma a ben vedere il nome più curioso presente tra le voci è un altro. Il personaggio di Uncino è infatti interpretato nientemeno dal crooner Mario Biondi, che nel pezzo Ho un sogno anch’io regala una prova divertente e inaspettata.


ECCEZIONI MERITEVOLI pt 2: I NON-ITALIANI

Ok, va bene: l’articolo fa riferimento ad artisti italiani, non c’è dubbio. C’è un’esperienza che però, malgrado venga tagliata fuori da questa top ten, non potevamo in alcun modo ignorare.

Se non fu infatti gran sorpresa al tempo sapere che Phil Collins avrebbe composto e cantato la colonna sonora di Tarzan, fu sconvolgente scoprire che ne avrebbe interpretato pure le localizzazioni italiana, francese, tedesca e spagnola. Collins dichiarò in seguito che “l’italiano è la più facile, è fatto per cantare”. Ma che ne sapevamo al tempo, di cosa sarebbe potuto uscirne?

Avevamo tutti ragionevoli dubbi e curiosità riguardo alla voce di una stella del pop prestata alle canzoni Disney in una lingua non sua. Il risultato oggi lo conosciamo, è quello di una colonna sonora indimenticabile. Da notare che la sua resa iconica risiede proprio dalla voce di Phil, che tutto sommato se la cava abbastanza bene con la lingua del Bel Canto.

Segnaliamo per completezza di questo paragrafo che anche Martina Stoessel (per gli amici Violetta) si è cimentata con l’italiano per il radio edit di Let It Go. Inoltre lo stesso Collins provò a ripetere l’operazione, con risultati inferiori, in Koda fratello orso. Il nostro cuoricino rimane però là, nella giungla africana.


4) MASSIMO RANIERI E MIETTA – IL GOBBO DI NOTRE DAME

Il gobbo di Notre Dame rappresenta, con Pocahontas, il momento più severo e “adulto” del Rinascimento Disney.

Il tono a volte serioso del Gobbo è necessario per poter elevare il consueto discorso del musical a ciò che la Disney abbia mai fatto di più simile al dramma operistico. A tal proposito, segnaliamo Fiamme dell’inferno, uno delle massime canzoni Disney di sempre, così in bilico tra desiderio, fede e violenza. Temi così grandiosi, come la tolleranza e la religione (capite, la religione! In un classico Disney!) necessitavano di interpreti adatti.

Si optò quindi per scelte di elevato profilo vocale. Mietta è Esmeralda, e ha come momento di massimo splendore l’eterea Dio fa qualcosa. Il mattatore è però indubbiamente Massimo Ranieri, che dispensa prove immense a piene mani e ricorda, a noi che oggi siamo chiusi a casa in quarantena, quant’è bello, “là fuori”.


3) ALEX BARONI – HERCULES

Se escludiamo l’Ercole adulto, con la voce di un Raul Bova così e così, Hercules rappresenta probabilmente il miglior doppiaggio Disney di sempre. A partire da Ade, uno dei cattivi più iconici e meglio interpretati, o dalle Muse, affidate intelligentemente a un gruppo di coriste.

Ma la vera scommessa vinta qui è quella di assoldare alcuni personaggi dello spettacolo del tutto estranei al doppiaggio. Se questa scelta è per la maggior parte delle volte suicida, qui gli attori in causa sono in stato di grazia. Veronica Pivetti nei panni di Megara, Zuzzurro e Gaspare in quelli di Pena e Panico e soprattutto di Giancarlo Magalli in Filottete sono semplicemente perfetti per i loro ruoli. Un pochino meno perfette sono semmai Paola e Chiara, che curano un edit radiofonico di Ti vada o no rimasto nella storia delle canzoni Disney per l’imbarazzo che suscita nell’ascoltatore.

La nota più bella è sicuramente la prova di Alex Baroni. La sua Posso farcela, che nel radio edit dell’originale Go the Distance è affidata a un tamarrissimo Micheal Bolton, rimane il momento più emozionante di tutto il film. Baroni ci avrebbe lasciato qualche anno dopo. Un po’ amaramente oggi questo brano, quando Ercole comincia a intonarlo lanciando pietre nell’acqua, non può che farci ripensare a lui, con malinconia.


2) IVANA SPAGNA – IL RE LEONE

Il re leone ha davvero tutto: l’epica, il dramma, il sentimento, la comicità. Non è a torto che, in mille discussioni riguardo al “cartone preferito”, questo film salta sempre fuori. La storia di Simba infatti, oltre a essere abbastanza palesemente una rilettura dell’Amleto, è un po’ archetipo del perfetto classico Disney. Questo deve saper mescolare sapientemente gli ingredienti dei generi e spruzzare tutto di sensibilità musical, così da piacere a tutti.

Il fatto di incaricare una stella del pop del calibro di Elton John per curare proprio la colonna sonora si sente tutta, e il mondo delle canzoni Disney ringrazia. Il songwriting è eccezionale, ogni brano è immediato e si pianta in testa senza uscirne. Ovviamente però la parte del leone (sì, dovevo dirlo, scusatemi) la fa la sequenza introduttiva, il risveglio della savana che omaggia il nuovo principe. Questa, oltre a essere un neanche troppo velato riferimento a Bambi (in fase di lavorazione gli animatori chiamavano scherzosamente questo film Bambi in Africa) ha una forza iconica mostruosa (la sentite la vocina interiore che urla “Naaaaaaaaaaa zveegnaaaaaaaaaaa”? Io sì). La carovana di animali scandita dal Cerchio della vita, fa venire i brividi ancora oggi dopo più di venticinque anni.

La versione italiana poi, permettetecelo, trasmette molta più emozione dell’originale. La “giostra che va” cantata da Ivana Spagna è un’immagine potentissima, che reifica quel concetto di circolarità che nell’originale rimane solo metaforico.

Il miracolo della vita non è mai stato così vero.


ECCEZIONI MERITEVOLI pt 3: FILM NON-DISNEY

Non di sole canzoni Disney vive l’uomo. L’ultima parentesi che era doveroso aprire riguarda tutti gli artisti che hanno prestato la loro voce a opere non prodotte dall’azienda con le orecchie tonde. O meglio, non prodotte direttamente da essa.

Prendiamo per esempio l’inconfondibile discesa di Jack Skeleton da una collina che si srotola di Nightmare Before Christmas, con la voce di Renato Zero. Se è vero che il film è stato prodotto dalla Touchstone Pictures è anche vero che quest’ultima è un marchio “di facciata” della Disney, a lungo utilizzato per promuovere titoli che si ritenevano troppo “adulti” per essere accostati al marchio principale.

La stessa Pixar, benché goda da sempre di indipendenza creativa totale, rimane cugina stretta dell’azienda di Burbank. Se di essa è ovvio citare il Cocciante di Toy Story, sicuramente lo è di meno ricordare la recente superflua rilettura di Benji e Fede, così come la simpatica Ricordami di Michele Bravi per Coco o l’azzeccatissima performance di Noemi in Ribelle.

Allontanandoci dall’influenza della Disney ci sarebbero davvero tantissimi esempi da prendere in considerazione, citeremo solo i notevoli. Tra questi, l’italianissima Gabbianella e il gatto ha sfruttato le voci di Ivana Spagna (di nuovo), Gaetano Curreri e Samuele Bersani, mentre della Dreamworks Pictures citiamo invece due esempi. Zucchero ha curato l’intera trasposizione canora di Spirit, mentre a Trolls prestano le voci Alessio Bernabei ed Elisa. Da segnalare inoltre che Trolls 2 – World Tour, disponibile a breve in streaming a causa dell’emergenza coronavirus, ospita ben quattro cantanti tra le voci: Francesca Michielin, Stash, Elodie e Sergio Sylvestre.

Un classico un po’ dimenticato degli anni Novanta è poi La spada magica, che con gli artisti italiani ha un rapporto davvero curioso. Anzitutto, nella versione italiana Gigi Proietti interpreta, anche nel canto, entrambe le teste di un drago bicefalo. Molto curioso per uno che aveva pochi anni prima interpretato da gigante già il Genio di Aladdin. Inoltre poi, abbiamo il nostro Andrea Bocelli che canta, addirittura in italiano, il brano principale della colonna sonora internazionale con Celine Dion. Di sicuro un gran bel riconoscimento alla nostra tradizione canora, La spada magica. Un altro brano curiosissimo che, credetemi, volete sicuramente ascoltare è Banane giganti degli Elio e le storie tese, dal semisconosciuto Terkel. Surreale, maleducato: non sentirete mai sentito una canzone Disney del genere.

Chiudiamo infine questo veloce elenco con uno dei cartoni più amati di sempre, Anastasia. Film dalla ricca colonna sonora, Anastasia vede la partecipazione di Fiorello nei panni di Dimitri ma soprattutto di Tosca in quelli della protagonista. Se è obbligo tra i tanti brani citare Quando viene dicembre e Il mio inizio sei tu, la “I Want” song di Anya sulla strada per San Pietroburgo rimane il momento più alto e lirico del film.


1) MAX PEZZALI – CI SONO ANCH’IO

Il pianeta del tesoro è un film sfortunatissimo. Ha dei difetti, ma la sua qualità rimane indiscussa. Il suo vero problema è stato quello di arrivare nel momento più sbagliato, quello di una drammatica crisi identitaria e di credibilità della Disney, che da anni trasmetteva una pessima immagine di sé. Il suo flop fu rumorosissimo, e causò una serie di cambiamenti di rotta inevitabili per l’azienda.

Ciò detto, Il pianeta del tesoro tratteggia una delle più profonde relazioni interpersonali mai rappresentate dalla Disney (forse la più bella?). Il rapporto tra il protagonista Jim e John Silver è di fatto una paternità acquisita, e come tale sa essere tanto ferma e severa quanto scanzonata e dolce. Il culmine della relazione lo si raggiunge nella scena madre del film, nella quale i due rincorrono una cometa sulle note di Ci sono anch’io. Oltre ad ammirare quest’apice dell’animazione (diretto personalmente da colui che forse è il più grande animatore vivente, Glen Keane) cosa dobbiamo dire?

Chi scrive non ama particolarmente Max Pezzali, ma la sua interpretazione di Ci sono anch’io fa cadere ogni regola. Se l’originale I’m Still Here cantata da John Rzeznik dei Goo Goo Dolls è tecnicamente superiore, qui siamo proprio in un altro campo. Gli 883 hanno fatto la loro fortuna rappresentando in musica un preciso momento storico, e legare il loro ex frontman al progetto Pianeta del tesoro ha fatto sì che questo assumesse una valenza generazionale. Per questo Ci sono anch’io non è un pezzo come tutti gli altri, perché trascende lo stesso film di appartenenza e assurge a inno di tutti, ad affermazione di consapevolezza e presenza a sé.

E questo, se l’intento delle canzoni Disney è appassionarci, è davvero tutto ciò di cui abbiamo bisogno.


Nicola Carmignani

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