Giornata della memoria: vogliamo, dobbiamo ancora ricordare

Se ogni anno, arrivati al 27 gennaio, ci chiediamo se e quale sia il senso di quesmemoriata giornata un motivo ci sarà. Dall’anno della sua istituzione, le discussioni e le dichiarazioni più o meno autorevoli in cui ci si interroga sulla necessità di stabilire in modo ufficiale una giornata dedicata alla memoria non sono mai mancate; e non stiamo parlando di una memoria qualsiasi, ma della commemorazione delle vittime dell’Olocausto. Ed è per questo motivo, che questa volta, voglio provare a rispondere a questi interrogativi.

La risposta sta proprio in questo: nel fatto che anche soltanto ponendosi questo tipo di domande, stiamo parlando di ciò che accadde quasi settant’anni fa. In molti si chiedono che rilevanza possa avere ricordare una tragedia immane soltanto per un giorno all’anno. Certo, nel migliore dei mondi possibili, la morte di circa quindici milioni di persone, l’atrocità della segregazione razziale, dei campi di sterminio e delle camere a gas che “accolsero” ebrei, rom, omosessuali, diversamente abili e dissidenti dovrebbe accompagnarci ogni giorno. Ma lo sappiamo, non viviamo di certo nel migliore dei mondi possibili. Il problema sta nel fatto che non ci ricordiamo della morte di 15 milioni di persone neppure quando ci sarebbe più utile: quando sentiamo parlare di barriere di filo spinato che tornano a comparire nella nostra Europa unita, quando le conseguenze di un sistema economico globale altamente iniquo si trasformano in colpe da scaricare addosso a chi ha meno possibilità di farsi sentire – l’individuazione di un capro espiatorio su cui riversare i fallimenti è un’operazione che nel corso della storia è sempre stato utilizzato molto bene -, quando con una semplicità disarmante sentiamo evocare, più o meno velatamente, un ritorno ai tempi che furono come soluzione perfetta ai problemi che caratterizzano il nostro tempo. Non è il ricordo che ci accompagna ogni giorno, è l’assuefazione. È l’assuefazione ad ogni tipo di notizia, anche alle più aberranti, che impedisce di riflettere sul nostro passato per capire il nostro presente. E’ un concetto ripetuto talmente tante volte da risultare in apparenza quasi banale, addirittura fine a se stesso.

memoriaMa solo riflettendo sul contesto che “permise” ad Adolf Hitler di raccogliere in pochissimo tempo un consenso che ha dell’incredibile si possono capire certe dinamiche che governano i rapporti di forza anche al giorno d’oggi. La Germania degli anni Venti del ‘900 era un Paese dilaniato dall’iperinflazione, alla ricerca di una scappatoia che l’avrebbe riportata
al benessere e ai fasti del periodo imperiale che gli anni della Repubblica non avevano saputo trovare. Eppure i progetti di sterminio del Führer erano già tutti scritti nero su bianco nel suo Mein Kampf: eliminare gli ebrei, disfarsi di tutti coloro che non si sarebbero potuti rivelare produttivi per concretizzare i sogni di gloria di una grande Germania che avrebbe dovuto espandersi nel suo Lebensraum, creato ad hoc a spese negli altri.

Ed è solo riflettendo sulle decisioni prese da uno sparuto numero di paesi europei nell’immediato dopoguerra, che miravano ad annullare ogni minima, microscopica possibilità che una tragedia del genere potesse ripetersi, ce si comprende il motivo per cui oggi sia così necessario ribadire l’importanza dell’esistenza dell’organizzazione sovranazionale di cui facciamo parte. Erano gli anni in cui non a caso Altiero Spinelli e Jean Monnet parlavano di Stati Uniti d’Europa pensando al futuro del nostro continente: un’unione economica, e perché no anche politica, come soluzione a quei contrasti e a quegli interessi divergenti che avevano chiuso gli occhi a chi avrebbe potuto far qualcosa per fermare un processo che in poco tempo avrebbe preso la forma e il nome di Olocausto.

Nessuno dice sia stato un cammino facile: gli ostacoli, i pochi passi compiuti in avanti e i molti, troppi, compiuti all’indietro non sono mai mancati, ma allo stato attuale delle cose esistono prove concrete a dimostrazione che la decisione, sessant’anni fa, di intraprendere quel percorso ha dato i suoi frutti che rispondono al nome di unione monetaria, di libera circolazione delle persone, o più semplicemente, di Erasmus.

Oggi, all’interno dell’UE, il suono dei campanelli d’allarme si fa ogni giorno più assordante, e richiama l’attenzione su quei problemi che, se ancora lasciati irrisolti, potrebbero rischiare – anzi, lo stanno già facendo – di minare la sua solidità. Il sistema economico e finanziario attualmente in vigore ha già purtroppo dimostrato i suoi deficit e il continuo afflusso di migranti che bussano alle porte di questa nostra Fortezza sottolineano la perdurante assenza di un vero sistema comune di asilo che possa affrontare con cognizione di causa questioni delicate quali l’integrazione o la capacità di tenuta dello stato sociale. memoria

Soltanto con lo stesso, immutato sforzo di volontà dettato da un profondo e reale spirito europeista è possibile spegnere i campanelli di allarme di oggi ed evitare, così, di esporsi al rischio che le divisioni, i contrasti, e gli interessi dei singoli possano nuovamente mettere a repentaglio quella pace e quella stabilità che si pensava di aver raggiunto una volta per tutte.

E’ proprio per questo motivo che la risposta alla domanda con la quale abbiamo iniziato non può essere che assolutamente affermativa. Un giorno della memoria serve eccome. Prendetevi tutto il tempo per ricordare e utilizzatelo per vedere in modo più nitido il presente e il futuro che vi si prospetta.

Alice Masoni

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