Il Rock è morto! Lunga vita al Rock! Parte Seconda

Glamodrama torna con la seconda parte del percorso iniziato la settimana scorsa e che oggi vedrà la sua conclusione.

Se ti sei perso il primo episodio, eccolo qua!


Atto III: I risultati delle analisi

Dottore! Ridammi euforia

Citazioni dei Verdena a parte, siamo arrivati al nocciolo della questione: ma nel 2018, quasi 2019, questo benedetto Rock come sta?

Una risposta precisa che possa corrispondere ad una verità oggettiva è ovviamente impossibile darla (hai capito amico mio nostalgico?) tuttavia, cercherò di dare parere del tutto personale (impresa ardua!), sulla base di due parametri assolutamente soggettivi, i miei ascolti degli album usciti di recente e i vari concerti visti negli ultimi mesi.

Certo, che le ultime annate non siano state fra le più prolifiche della ormai lunga storia del genere è cosa nota, tuttavia, nel 2018, fra incendiari debutti e importanti conferme, si è potuto notare una sorta di inversione di tendenza.

Centro di tutto è certamente l’Inghilterra: il contesto post – Brexit ha certamente dato grossi ed importanti spunti di riflessioni ad alcuni gruppi che hanno decisamente appreso quel discorso di ribellione ed impegno che da sempre ha caratterizzato tutto il filone Punk – Hardcore. Qualche nome? Idles e Shame su tutti.

I primi, forti del loro album di debutto, Brutalism (2017), che li ha fatti conoscere al grande pubblico, si sono ripetuti con il formidabile Joy as an Act of Resistance, uscito il 31 Agosto, e già consacrato dalla critica.

Idles

Gli Shame invece, dopo una serie di singoli usciti durante lo scorso anno, hanno pubblicato a gennaio il loro album di debutto, Songs of praise, trionfalmente portato in tour fra Europa ed America.

Quest’ultimi ho avuto modo di vederli live e posso confermare che l’entusiasmo creatosi attorno a loro è più che giustificato. Nonostante un’età media assai bassa i cinque ragazzi di South London hanno appreso la grande lezione del Punk Inglese (nel modo di cantare del frontman Charlie Steen ho avvertito tantissimo l’influenza di Joe Strummer) e del Post Punk d’oltreoceano, adattandola a giorni nostri e creando una miscela potenzialmente esplosiva.

Shame

Sembrerebbe una sorta di ritorno alle origini, un ciclo che, idealmente giunto alla fine, riparte da quell’ Inghilterra che ha scritto tanti capitoli importanti della storia Rock. Tuttavia, ritengo sia delittuoso attribuire il merito di questa (presunta) rinascita esclusivamente ai sudditi di sua maestà; l’oltreoceano non sarebbe certamente d’accordo.

Sulla scia della grande tradizione alternative di Fugazi, Husker Du, Sonic Youth, Dinosaur Jr etc. non possiamo non nominare quel Dylan Baldi che, nonostante la sua giovanissima età (classe ‘93!), ormai da quasi dieci anni sta portando avanti la sua creatura Cloud Nothings.

Dopo quel Life Without Sound del 2017, nel quale era la melodia a fare da padrone, a discapito delle sfuriate chitarristiche di Attack On Memory (2012) e Here and Nowhere Else (2014), un po’ a sorpresa, i nostri sono tornati con un nuovo album, Last Building Burning, uscito ad ottobre, nel quale Dylan ha, in un certo senso, ripreso quel discorso musicale interrotto quattro anni prima. Otto brani, per trentacinque minuti di musica, che magari non aggiungeranno nulla al già importante curriculum del venticinquenne proveniente dall’Ohio, ma che ci dimostrano come certe sonorità non siano affatto finite.

Cloud Nothings

Tendenza che le recenti uscite di gruppi della nuova ondata rock degli anni’10 come Nothing, Beach House, A Place to Bury Strangers, Deafheaven etc. non fanno che confermare.

Atto IV: Il Ritorno a casa e la convalescenza

Ma allora, vuoi vedere che in quel di Torino non avevano del tutto sbagliato ad improntare larga parte della line – up del TOdays sulle chitarre. Certo, in una scena musicale come la nostra, che da un paio di anni a questa parte ha intrapreso una direzione ben precisa, poteva sembrare un azzardo, specialmente considerando i nomi che affollano i vari festival estivi italiani. Va comunque detto che la stagione concertistica era partita in quarta per il Rock.

A giugno, sul palco del Firenze Rocks, erano infatti saliti tanti gruppi che avranno sicuramente fatto fare i salti di gioia al nostro carissimo amico nostalgico. Dopo l’incredibile esperienza dei Radiohead del 2017, quest’anno ho deciso di non tornare in quel del Visarno, tuttavia, parlando con un po’ di persone, delle più disparate età e dai più eterogenei gusti musicali, che avevano assistito ai vari concerti di questi gruppi, considerati ormai dei veri e propri dinosauri del rock (eccezion fatta per i Foo Fighters), i pareri erano all’unanimità entusiasti.

Una sorta di grande ritorno alle origini, al quale avevano avuto modo di partecipare un po’ tutti: dai più maturi, che magari queste band le avevano vissute in prima persona durante i fasti della loro gioventù, ai più giovani, i quali hanno potuto vedere solamente oggi i Guns n’Roses all’opera (certo, in formazione un po’rimaneggiata, ma pur sempre loro).

Una di queste preziose testimonianze mi è giunta proprio in quel di Torino da parte di un simpatico signore sulla cinquantina che era giunto fin lì per poter vedere dal vivo Ian McCulloch e i suoi Echo & the Bunnyman. Mentre aspettavamo l’apertura dei cancelli mi ha narrato della sua lunga esperienza, partita negli anni ’80: dai Ramones ai New Order, fino a soffermarsi su quanto avessero spaccato gli Iron Maiden a Firenze appena due mesi prima. Che un po’ di speranza, perlomeno dal vivo, ci possa arrivare anche dai cosiddetti mostri sacri?

Proviamo quindi ad arrivare ad una conclusione, seppur parziale e assai frazionata, il Rock è morto? La mia personalissima risposta è … no. Oserei dire: è in convalescenza. Ovvio, sarebbe da stupidi non ammettere che negli ultimi due decenni la sua importanza sia stata ridimensionata, e alla stessa maniera non possiamo e non dobbiamo negare che importanti pagine recenti della storia della musica siano state scritte anche dai Burial e dai Kendrick Lamar di turno, gente che con le chitarre ha poco a che fare.

Burial – Untrue

Ciò nonostante trovo che questo 2018 ci abbia fornito dei validi segnali di ripresa, sia sul fronte delle nuove uscite sia, soprattutto, su quella che è da sempre la vera dimensione del Rock, il live.

La risposta del pubblico è sempre stata decisa e importante, dalla sconfinata arena del Visarno, dove Dave Grohl ha tenuto testa a settantamila persone, ai contesti più intimi, come quello del cortile dello Spazio 211, nel quale gruppi come i Mogwai ci hanno preso per mano e letteralmente condotto in un’altra dimensione.

Mogwai live TOdays Festival

E se fra qualche anno, decennio, secolo il Rock sarà veramente morto, allora saremo qui a rendergli il giusto tributo, ma solo allora potremo urlare: “Il Rock è morto! Lunga vita al Rock!

Atto V: Bonus Track(s)

Una playlist poco pretenziosa nella quale sono inseriti brani rock, contenuti in album rigorosamente usciti nel 2018. Ho cercato di coprire il più possibile i vari sottogeneri per fornire un quadro d’insieme il più eterogeneo possibile, anche perché, quando si parla di musica, le parole saranno pure importanti ma le canzoni lo sono ancora di più.


Leonardo Bindi.

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