Il ddl Pillon rappresenta un passo indietro nei diritti civili: Non Una di Meno chiama i rinforzi.

“Erranti eretiche erotiche”

“Una chiamata nazionale”: è questo il significato alla base delle recenti manifestazioni di protesta su scala nazionale organizzate dal movimento femminista Non Una di Meno, aventi come scopo quello di ribadire la contrarietà al disegno di legge Pillon. La proposta, approdata qualche mese fa in Commissione Giustizia, è stata infatti definita dal movimento un “attacco alle libertà e ai diritti civili delle donne e dei bambini”. Tra le mobilitazioni si inserisce l’evento svoltosi lo scorso 9 novembre presso la Corte dei Miracoli di Siena dal titolo Erranti Eretiche Erotiche.

Non Una di Meno: che cos’è

Non Una di Meno prende forma dall’idea di un gruppo di donne argentine, in lotta per difendere i diritti di genere. Ne scaturisce un movimento intervenzionista che si allarga in tutto il mondo fino ad arrivare in Italia: in seguito a una manifestazione contro la violenza sulle donne tenutasi il 26 Novembre 2018, si formano vari gruppi in diverse città italiane. Attualmente il movimento continua la sua attività di sensibilizzazione attraverso una serie di iniziative per le strade e le piazze del Paese.

Ddl Pillon: di cosa si tratta

L’attenzione di Non Una di Meno si è ultimamente focalizzata su un particolare disegno di legge presentato il primo agosto 2018 da un gruppo interparlamentare chiamato “Famiglia e vita”. Si tratta di un nucleo formato da 150 parlamentari cattolici guidati dal leghista Simone Pillon e mossi dal desiderio di battersi per “la difesa e la promozione della famiglia e della vita”. La finalità del decreto, dal titolo “norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità”, è quella di istituire delle nuove regole per la separazione e il divorzio (prefigura quindi una modifica del codice civile, di procedura civile e penale).

Simone Pillon

Mediatore familiare e coordinatore genitoriale

Ad una prima lettura del testo (spiega l’avvocata Maria Isabella Becchi, intervenuta all’evento del 9 novembre), ciò che risulta immediatamente evidente è anzitutto una “degiurisdizionalizzazione” della materia: se il decreto venisse convertito in legge (divenendo così parte effettiva del nostro ordinamento), il ruolo ricoperto dai giudici nella gestione dei divorzi verrebbe nettamente ridotto. La proposta prevede infatti l’introduzione, all’interno del percorso di separazione, di due figure totalmente inedite alle quali le coppie dovranno obbligatoriamente rivolgersi per poter porre fine al vincolo matrimoniale. Si tratta in prima battuta del mediatore familiare, che avrebbe il compito di guidare i coniugi nell’elaborazione di un piano genitoriale inteso come “un luogo di confronto per individuare le concrete esigenze dei figli ed evitare contrasti strumentali”. In seconda battuta, troviamo il coordinatore genitoriale ovvero “un terzo imparziale” scelto dai due genitori che dovrà “gestire in via stragiudiziale le controversie eventualmente sorte tra i genitori di minori”.

È ovviamente prevista, al fine della formazione tanto del mediatore quanto del coordinatore, l’istituzione di un nuovo albo.

Imposizione di tempi paritari e mantenimento diretto

Con l’eventuale nuova legge, viene inoltre stabilita un’eguale ripartizione, tra i due genitori, del tempo trascorso con i figli equivalente a dodici giorni al mese. Come conseguenza di questa nuova regolamentazione, scompare l’assegno di mantenimento: al suo posto viene invece introdotto l’istituto del mantenimento diretto. Scompare inoltre l’assegnazione della casa che, nella relazione illustrativa del ddl viene definita un “monstrum”, e viene previsto che il genitore che rimane nella casa di proprietà dell’altro debba versare a quest’ultimo “un indennizzo pari al canone di locazione” (affitto).

Nel caso in cui si volessero reclamare le spese all’altro genitore, si dovrà iniziare una causa autonoma. Il che significa che i figli maggiorenni dovranno agire autonomamente nei confronti dei genitori per ottenere il mantenimento che comunque potrà perdurare solo fino ai 25 anni di età.

Sindrome da alienazione parentale (PAS)

Esclusa dalla comunità scientifica (ma presente in questo disegno di legge), è una sindrome psichiatrica riguardante i comportamenti di alienazione o manipolazione dei figli da parte di un genitore.

Tali comportamenti vengono sanzionati dall’art. 17 del ddl: semplicisticamente, nel caso in cui i bambini dovessero rifiutare di avere un qualsiasi tipo di rapporto con uno dei due genitori, si presume che sia uno di questi ultimi a manipolarli, arrivando addirittura a sospendere la responsabilità genitoriale dell’altro e disponendo il collocamento provvisorio dei figli in una struttura specializzata.

Le criticità: trattamento dei minori

Le critiche a questo inusuale decreto legge provengono da svariate parti tra cui giuristi, psicologi e diverse associazioni. Per quanto riguarda il punto di vista giuridico, come evidenzia l’avvocata Becchi, la crepa fondamentale della proposta di Pillon, va ricercata nel trattamento riservato ai minori. I figli di genitori divorziati entrano infatti a far parte di questo decreto non come soggetti, ma come oggetti di diritto.

Innanzitutto, in merito all’imposizione di tempi paritari: i bambini infatti, saranno costretti a spostarsi da un genitore all’altro, da una casa all’altra e quindi, di conseguenza da un tipo di educazione all’altra (senza considerare le difficoltà dovute ai tempi di spostamento) dando inoltre per scontato che ciascun genitore abbia la possibilità di dare al figlio lo stesso tenore di vita (il che rappresenterebbe una disparità nel trattamento del bambino).

Non si considerano poi i casi violenza, abuso sessuale, trascuratezza, indisponibilità di un genitore, inadeguatezza degli spazi predisposti per la vita del minore. L’apice dell’evidente disattenzione nei confronti dei minori, viene raggiunto nella sopra menzionata sindrome da alienazione parentale: si cerca di contrastare la possibilità per il minore di esprimere il suo rifiuto o risentimento nei confronti di un genitore, e non si prende in esame il caso che il bambino possa essere stato oggetto di violenza assistita.

Il piano genitoriale scaturito dalla mediazione finirebbe col risultare quindi controproducente in quanto, oltre a rischiare di incrementare gli scontri tra i genitori, non si possono stabilire in via preventiva le esigenze dei figli (per non parlare dei costi che la creazione dei nuovi albi comporterebbe). Con il risultato che, un decreto che pone tra i suoi obbiettivi peculiari quello di salvaguardare centralità della famiglia e dei figli, finisce col diventare totalmente adulto centrico.

Le differenze di genere

Il decreto è stato soprattutto attaccato dalle associazioni che lottano contro le violenze di genere. Anzitutto, non vengono considerate le possibili differenze economiche tra i coniugi: la mediazione familiare avrebbe infatti un costo, ma non vi è nessuna certezza che tale costo possa essere sostenuto in egual modo da parte di entrambi i genitori. In una situazione del genere molte donne, costrette da uno stato di disoccupazione e difficoltà economiche, potrebbero decidere di non ricorrere al divorzio possibilmente perpetuando in condizioni di violenza psicologica, fisica o di altro genere.

L’istituzione di un mediatore familiare violerebbe l’art. 48 della convenzione di Istanbul sulla violenza sessuale adottata dal Consiglio d’Europa nel 2011, convenzione ratificata dallo Stato italiano nel 2016 e per tale motivo legge italiana (giuridicamente vincolante) a tutti gli effetti. La legge difende le donne contro qualsiasi forma di violenza e invita gli Stati ad adottare un’adeguata diligenza in merito. Vieta in particolare i metodi alternativi di risoluzione di conflitto per quanto riguarda la violenza sulle donne: “le donne violentate non possono ricorrere alla mediazione familiare perché sarebbero in uno stato di soggezione nei confronti del marito” precisa l’avvocata Becchi.

Le idee fasciste: un quadro del diritto di famiglia

Il diritto di famiglia, come illustra l’avvocata Becchi, risale al 1942: codificato in epoca fascista, si basava sulla subordinazione della donna al marito in quanto conteneva norme quali la patria podestà e il matrimonio riparatore (che consentiva all’uomo di “riparare” al reato di stupro semplicemente sposando la donna violentata). Ovviamente, grazie alle battaglie sui diritti delle donne, molte sono state le modifiche effettuate.

Ma secondo Non Una di Meno, il decreto Pillon rappresenta un grosso passo indietro nelle conquiste ottenute in merito ai diritti di famiglia e più specificamente ai diritti delle donne. “In Italia ci scontriamo ancora contro una diffusissima diseguaglianza di genere culturale, istituzionale, economica e l’ondata fascista reazionaria colpisce direttamente anche le donne tentando di riaffermare un’idea di donna che le femministe stanno cercando di cambiare e superare” afferma Maria Isabella, un’attivista di Non Una di Meno. “Il disegno Pillon sembra frutto di queste idee conservatrici e fasciste” continua Maria Isabella. “Il Governo e le istituzioni stanno diffondendo un’idea di donna e di famiglia di stampo fascista e conservatore, contrario alla libertà delle donne e che nasconde una violenza di genere”. Maria Isabella sentenzia infine: “tale violenza di .genere sembra riemergere soltanto quando la si può strumentalizzare a livello politico”.

Come bloccare questo decreto?

“Il ddl Pillon si trova attualmente in sede redigente della Commissione di giustizia del Senato la quale ha la possibilità di apportare delle modifiche;” spiega l’avvocata Becchi “vuol dire che, una volta arrivato in aula, non potrà essere discusso ma solo votato: per bloccare la proposta quindi non dovrà essere votata la fiducia”.

Sul decreto si sono intanto espresse le relatrici speciali delle Nazioni Unite sulla violenza e la discriminazione contro le donne, scrivendo una lettera al Governo italiano e dicendosi preoccupate.

Secondo Non Una di Meno, l’unica soluzione per fermare il provvedimento, è la mobilitazione e l’attivismo, con la speranza di catturare l’attenzione e riuscire a vincere le resistenze. In merito a ciò, il Movimento invita a partecipare alla manifestazione nazionale contro la violenza maschile sulle donne che si terrà a Roma il 24 novembre.

Un invito di Gabriella Luccioli

L’avvocata conclude con una citazione di Gabriella Luccioli, primo giudice donna della Corte di Cassazione:

“Dobbiamo purtroppo riconoscere che i diritti fondamentali, una volta faticosamente conquistati, non lo sono per sempre. È vero piuttosto che essi vanno attentamente custoditi e difesi da iniziative improvvide, spesso dettate da motivi ideologici disancorati dalla realtà e indifferenti alle esigenze dei soggetti più deboli.”


Annachiara Crea.

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