I 250 anni di Beethoven

I 250 anni di Beethoven
Ricostruzione del volto di Ludwig Van Beethoven, artista Hadikarimi.art



Lo scorso 16 dicembre, con l’anniversario dei 250 anni dalla nascita del celebre compositore tedesco Ludwig Van Beethoven, si chiude definitivamente anche per quest’anno la sequenza dei compleanni cardine della storia della musica occidentale. Il 31 marzo la ricorrenza andava a Bach e il 27 gennaio, in apertura di anno, a Mozart. Ma mentre la società musicale celebra questi come i due più grandi compositori e musicisti della nostra storia, Beethoven con la sua opera rappresenta un vero e proprio punto di scissione tra il passato e il futuro, ponendo la base salda per un cambiamento al quale nessuno si era mai osato spingere, nemmeno il più ambizioso dei geni.

La vita di un genio

Ludwig nasce a Bonn, nella Germania Occidentale, il 16 dicembre del 1770 da una famiglia certo non agiata o tantomeno aristocratica, ma capace di provvedere ai propri bisogni. Mentre la madre Maria Magdalena non fu una figura cruciale nel vissuto iniziale del giovane compositore, data la sua precoce morte, il padre fu una personalità nettamente più incisiva che apportò tutto fuorché tranquillità alla quotidianità dei figli.

Uomo austero e di facili costumi, sono molte le narrazioni di lui in costante stato di ebbrezza che tornato a casa nelle ore più impensabili della notte, svegliava il piccolo Ludwig per metterlo al pianoforte a suonare per la sua comitiva di amici di taverna. Questo è uno solo dei mille aneddoti su questo uomo perso; inenarrabili le continue violenze fisiche che compiva sui figli, o i repentini cambi di umore (accentuati anche dal suo bere costante) che lo portavano ad istanti di irascibilità tremendi per la stabilità emotiva dei bambini che aveva a carico.

Ma nonostante ciò, Ludwig presenta sin da subito quelle doti tecniche ed esecutive che si ricercavano tanto da dopo la morte di Mozart (avvenuta nel dicembre del 1791) considerato al tempo insieme a Bach e Händel l’ ideale musicale di massimo splendore. Trasferitosi nella lussuosa capitale austriaca, Vienna, non poté non entrare in contatto con quell’ ambiente colto e anche un po’ rivoluzionario che l’ aveva caratterizzata per oltre un secolo, attirando artisti e menti geniali da ogni parte del continente Europeo, Mozart e Haydn primi fra tutti. Da ricordare in questo periodo la sua grande amicizia con Goethe e Shiller (autore del suo celeberrimo “Inno alla Gioia” posto nella Nona Sinfonia). Sarà proprio sotto Haydn, padre della sinfonia e del quartetto d’archi, che il giovane ventenne si formerà.

Un carattere difficile

i 250 anni di Bethoveen

Ma la vita di Beethoven, che dura fino al 1827, 57 anni, è contraddistinta da momenti ed eventi che segneranno profondamente il suo carattere e di conseguenza la sua scrittura. A trent’anni avverte i primi segni di quella che oggi possiamo definire come un’ ipoacusia che lo renderà totalmente sordo fino alla morte (e nonostante ciò continuerà a comporre con costanza e successo).

Il suo carattere brusco, arrogante e perennemente astioso lo isoleranno da una società (quella del primo ottocento) che con l’ evolversi della borghesia come vera e propria classe dirigente, si arroccherà attorno all’ avidità e alla mala competizione reciproca, il suo costante senso di insofferenza verso le istituzioni: era un repubblicano convinto che vedeva nella figura del burocrate del Congresso di Vienna del 1821 (che aveva ridisegnato dopo Napoleone l’Europa di oggi) l’ esempio di potere fallace e malevolo.

Il suo eterno caos dal quale era circondato: si dice che la casa era invasa da vestiti sporchi ovunque, piatti usati su ogni letto e divano, il pianoforte sporco di cera secca, e il suo fisico trasandato, capelli unti, mani grosse e pelose che suonavano con forza vigore e perfezione, il suo vestire sempre con abiti del padre (ormai defunto) bucati e consunti dal tempo.

Il licenziare continuo delle donne di servizio che lo curavano, credute delle assassine, il continuo cambiare casa (si dice perché non voleva mettere a posto i suoi effetti personali), la scansione matematica della sua giornata suddivisa in rigide fasi dove si alternavano ore di sonno (circa 10, dalla tarda notte al primo pomeriggio), ore di preparazione del suo caffè (circa un paio), quelle di composizione (che occupavano la rimanente parte) e quelle di uscita, ricordate per il suo modo di camminare immerso in mille pensieri legati alla sua musica: era frequente vederlo cantare melodie mai composte nel bel mezzo della strada, ridere per poi ripartire tutto orgoglioso ma incattivito verso le persone circostanti.

Un carattere complesso, un po’ per colpa della sua infanzia travagliata, un po’ per la sua sordità che non contribuì ad avvicinarlo alle persone, lui non ebbe mai una persona con la quale convivere, ma questo non esclude un suo innamoramento per alcune donne, una in particolare (la cui identità ci è ancora sconosciuta) passata alla storia come “Amata Immortale” della quale ci è pervenuto solo un breve ma intenso scambio epistolare.

La sua musica risente moltissimo dell’ influsso classico pregresso, derivante ovviamente dallo studio con Haydn e dall’ eredità “lasciatagli” da Mozart, ma si spinge oltre, e grazie anche allo sviluppo di nuovi strumenti a tastiera (il pianoforte lo vediamo arrivare nei salotti e nelle case solo nel primo ottocento; saranno Chopin e Liszt i veri precursori di questo nuovo strumento), dal serio clavicembalo seicentesco privo di ogni sfumatura timbrica a causa della sua morfologia, si passa dal 1698 con Bartolomeo Cristofori al fortepiano, che, evolvendosi nei lustri a seguire, diventerà lo strumento per eccellenza nella società del tardo settecento e del primo ottocento Beethoveniano.

Sarà proprio quest’ultimo che già dall’ottava sonata per pianoforte in poi (la celebre “Patetica”), trasformerà questo strumento nel vero e proprio protagonista delle orchestre e delle opere per strumento solista (insieme al violino), esplorando per la prima volta sonorità mai affrontate, con timbriche totalmente innovative e scritture fortemente avanzate, segnando quindi il primo vero punto di sblocco tra l’ era antica (barocca prima, galante e classica poi) e l’ era moderna che, consegnata poi nelle mani dei veri e propri romantici (i già citati Chopin, Liszt, ma anche Schubert e Schumann) e dei tardoromantici poco dopo (Saint-Saëns, Brahms, Bruch, Bruckner, Mahler e pure la scuola francese di Debussy e Satie e quella russa di Prokofiev e Rachmaninov), diventerà predominante e determinante per la musica che conosciamo ed ascoltiamo tutt’oggi.


È un rivoluzionario anche e soprattutto perché con la sua forza d’animo arrogante e predominante, ridisegna il rapporto tra musicista e corte (fino a quel tempo ritenuto inviolabile), dove il primo era al pieno e totale servizio del secondo senza intermediari né tantomeno libertà artistiche varie. Con Beethoven, che si libera dalla commissione di spartiti (esclusi pochi casi per singole persone o famiglie), l’ artista-musicista diventa un libero professionista indipendente che si mette, solo qualora lo desideri, al servizio (certo non solo economico ma anche esecutivo) di un pubblico, anche lì scelto e voluto.

La musica di Beethoven, è nuova, travagliata, intima, rivoluzionaria, riflessiva, empatica, sentimentale ed esistenzialista nel senso più profondo della parola, e, con la sua personalità così ampia e frastagliata è degno di ogni possibile celebrazione artistica e musicale in questo altrettanto difficoltoso 2020.

Tra le sue opere nel campo del pianoforte solo, tra le sue 32 sonate, degne di nota la sua celebre numero 8 “Patetica”, 14 “Al chiaro di luna, sonata quasi una fantasia” (da lui definita non grandiosa e poco innovativa), la 15 “Pastorale”, la 17 “Tempesta”, la 21 “Waldstein” o l’ “Aurora”, 23 “Appassionata”, 27 “A Teresa”, 29 “Hammerklavier”, nell’ ambito della sua musica orchestrale: l’ Ouverture di Coriolano, la grandiosa quinta, sesta “Pastorale” e nona sinfonia “Corale”, le sonate 5 e 9 (Kreutzer) per violino e il concerto per pianoforte e orchestra numero 5 (Imperatore).

Beethoven oggi

Ma perché e soprattutto come, ascoltare Beethoven?
Quando andiamo a confrontarci con questa musica geniale e vasta bisogna assolutamente tenere in conto la personalità di chi l’ ha scritta e il contesto storico nel quale è stata composta.

Il primo 1800 è un’ epoca complessa, di passaggio tra il settecento (che aveva visto la Prima Rivoluzione industriale, la Rivoluzione francese del 1789 e la firma della carta di indipendenza nel 1775 da parte dei neofiti Stati Uniti d’ America) e l’ ottocento che in Europa rappresentò un periodo (perlomeno agli inizi) davvero complesso: la caduta della monarchia francese aveva portato alla nascita di un organismo politico fortemente vacillante, il Direttorio, che in pochissimo tempo, in meno di un decennio, venne soppresso dalla figura di Napoleone, che da semplice generale aveva ottenuto incarichi di comando politico molto alti, sino a diventare un vero e proprio Imperatore, tradendo tutti quegli ideali post-illuministi di libertà, uguaglianza e democrazia che aveva promesso ai tempi delle prime campagne militari. Inimicatosi presto tutte le altre potenze occidentali che vedevano minacciata la propria egemonia, si formò una lega, composta da Inghilterra, Russia, Austria e Prussia che cercò in ogni maniera di spodestarlo.

Dopo il primo esilio all’ Isola d’ Elba riprese le redini del potere, ma con la successiva disfatta di Waterloo fu definitivamente spodestato ed isolato a Sant’ Elena, nel basso Atlantico, dalla quale non fece più ritorno. È qui che morirà nel 1821, anno in cui nella sua terra, e in particolare a Vienna si apriva il già citato Congresso di Vienna che ridisegnò la carta politica del nostro continente e l’ assetto sociale che ben o male sarebbe rimasto alla base della nostra geopolitica fino ai giorni d’oggi.

Beethoven vive e compone a cavallo proprio fra queste due epoche storiche e, se mentre in gioventù arriva ad amare gli ideali repubblicani di Napoleone tanto da dedicargli la sua terza sinfonia (l’ Eroica), in età avanzata (come molti altri tra cui lo stesso poeta Foscolo) si sentirà tradito da quella politica così malsana e controversa tanto da allontanarsi proprio da tutti quegli ambienti di intellettuali che vedevano nel neo-monarca francese un ideale di buon governo. Beethoven odierà fino alla morte le istituzioni, allontanandosene ogni volta che potrà (si pensi alle crude dichiarazioni che lasciò sul Conte Metternich d’ Austria, uno dei padri del Congresso del 21), diventando con ciò l’ esempio di “intellettuale indipendente” tanto ricercato, di cui si parlava qualche paragrafo fa.

La sua musica è quindi travagliata e costituita dal profondo da questa eterna insofferenza interiore, si notino i continui sbalzi sonori da timbriche bassissime ad altre alte solenni ed esuberanti, gli sforzati continui che impone all’ esecutore (ricordiamoci che lui è il primo a lasciare scritte le indicazioni in partitura, prima non era prassi comune), gli accordi diminuiti (che a livello sonoro esprimono inquietudine ed agitazione), o i cambi rapidi di stile di scrittura che complicano ulteriormente il tessuto di base sonoro del brano. Una musica complessa da ascoltare, ma non pesa, come invece potrebbe accadere con un capolavoro sinfonico di Mahler, perché nella sua completezza e rigorosità spazia comunque oltre quello che è il consentito, diventando unica e irripetibile.

Le 32 sonate per pianoforte, come le 33 Variazioni Diabelli, numeri impensabili fino a quel tempo, rappresentano un punto di svolta significativo nel repertorio pianistico, per non pensare poi alle 9 sinfonie rimaste tutt’ oggi Il capolavoro sinfonico per eccellenza.

L’opera omnia fu rielaborata dal suo fedele e strettissimo amico di vita Shindler che ricostruirà dal 1827 tutto il catalogo per un totale di 138 opere totali (un numero bassissimo se pensiamo alle 626 di Mozart, o alle quasi 1100 di Bach) ma con un’ importanza irripetibile.

Questo e non solo, fu Ludwig Van Beethoven con i suoi 250 anni di vita, il genio assoluto della nostra musica.


Noel De La Vega

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