Dino Campana: un poeta “visivo” e non visionario

Ieri, 8 febbraio, presso la libreria caffetteria Cartazucchero, si è tenuta la presentazione dell’edizione del centenario dei Canti Orfici (Cronopio Editore) di Dino Campana, con le letture di Claudio Morganti e gli interventi di Dino Castrovilli (curatore del progetto editoriale), Luca Lenzini (direttore della Biblioteca umanistica dell’Università di Siena) e Antonio Prete ( poeta e saggista).

In occasione del centenario si è voluto rendere omaggio al poeta con una edizione dei Canti Orfici davvero speciale, costituita da un prezioso cofanetto che comprende la fedele ristampa del libro, pubblicato per la prima volta nell’estate del 1914 e un cd audio mp3 contenente la lettura integrale dei Canti Orfici da parte dello stesso Claudio Morganti.

E’ sempre molto difficile per un aspirante scrittore o giornalista soffermarsi sul mero aspetto stilistico di un autore, senza lasciarsi trasportare da commenti del tutto personali o sentimentali che lo legano alle letture e ne caratterizzano i momenti di riflessione. Questa volta, infatti, non posso esimermi dal trattare l’argomento con una certa nota personale, che spero non dispiacerà al lettore. Suvvìa, non siamo professionisti, mi farete questa grazia!

L’incontro di ieri ha rappresentato il riscatto di una figura bistrattata, in vita e in morte, dalle pretese e dalle sopraffazioni anche editoriali che hanno caratterizzato la mattanza della poesia campaniana, e che adesso, al centenario della pubblicazione dei Canti, trova un po’ di respiro, con la restituzione alle pagine fisiche del loro inchiostro e tonalità di colore, delle parole scritte al contrario, degli “errori” nella punteggiatura, delle ripetizioni volute e indispensabili (come in preda al delirio della febbre ? Del sogno? Dell’ebbrezza?) dello stile di Campana.

La sua poesia, visiva e non visionaria (come scrisse il critico Gianfranco Contini nel 1937) così vera e sensoriale, trasuda nella verità dell’espressione e dell’umano, la tragicità. Ogni parola dopo una guerra interiore (ed esteriore) si fa tragica, ma tragica nella sua realtà e immanenza, nella quotidianità anche più semplice, nei sentimenti vani, negli arresti e internamenti ingiusti, nei rapporti familiari oppressivi.
Dino Campana è stato “un tramonto che potè sembrare un’alba”, vissuto a cavallo tra ‘800 e ‘900, davanti all’urlo futurista, lui era altro, al di là del tragico, nella sua condizione di eterno viaggiatore, anche nel “qui”. Nelle sue pagine ha il potere di svuotare la poesia della pesantezza della realtà, ma nonostante ciò di rimanere abbarbicato alla sonorità e “visività” delle immagini che descrive, alla pittura futurista delle parole, che non hanno nulla della “follia” che ci induce ad una superficiale classificazione dell’autore sotto una luce “maledetta”; piuttosto direi che esiste poco altro di così tangibile e realistico, che lieve a volte accarezza e a volte scortica.

Non aggirando il problema di una classificazione poetica, per quanto detesti questi schemi, in Dino Campana si può scorgere il poeta maledetto baudeleriano, il viaggiatore Rimbaud, la poesia trecentesca, la pittura di De Chirico. Ma potrei aggiungere anche la poesia strozzata di Ungaretti, la follia della Merini, l’inappagato Modigliani.

La storia ha dato vita a personalità tanto meritevoli quanto nascoste, tanto capaci quanto “scomode”, che hanno urtato la sensibilità borghese nella loro natura di terra e di cielo, di esseri urlanti, di folli ammiratori del mondo.
In nome di tutti coloro che abbiamo certamente perso e non conosceremo mai, è nostro dovere ricordare e difendere anche chi, quasi senza speranza, ha lasciato la sua traccia.
Io, nel mio piccolo, non posso che invitare anche voi a scoprire questa meraviglia italiana citandone un frammento:

“Il tuo corpo un aereo dono sulle mie ginocchia , e le stelle assenti , e non un dio nella sera d’amore di viola: ma tu nella sera d’amore di viola : ma tu chinati gli occhi di viola, tu ad un ignoto cielo notturno che avevi rapito una melodia di carezze.”

 

Tilde Randazzo

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