"Carol" – Che noia la perfezione

“The price of salt” è il titolo originario del romanzo scritto da Patricia Highsmith tra il 1948 e il 1949, apparso in edizione rilegata nel 1952, meglio conosciuto come “Carol”, sulla cui storia è basato il nuovo film di Todd Haynes, con la sceneggiatura di Phyllis Nagy, interpretato da Cate Blanchett (candidata al premio Oscar come miglior attrice protagonista) e Rooney Mara, distribuito nelle sale italiane il 5 gennaio 2016.

Un libro perfetto. Una storia perfetta. Un film perfetto. Queste le parole che vengon fuori dalle numerose recensioni e critiche che questo romanzo ha generato. Così, curiosa lettrice ed ingenua spettatrice, ho voluto saperne di più. Per intenderci, ho letto il libro e visto il film. E non è stata una passeggiata, ve l’assicuro. Lungi da me essere la stroncatrice di turno, anche se in molti adorano sottolineare la mia cinica visione del mondo, tutta questa vicenda non mi ha convinta. Sapete, l’amore tormentato e giù di lì. Credo sia diventato, ahimè, sopravvalutato.

Ma iniziamo dal principio. Siamo nella New York dei Fifties, l’epoca dei sogni, tra jazz e rhythm’blues, alla guida di lussuose Cadillac, immersi nel fumo delle sigarette che invadevano bar e locali. E c’è lei: Therese Belivet. Diciannove anni, aspirante scenografa, sola da sempre, incapace di scegliere, stretta in una relazione senza senso e senza tempo con Richard, un rampollo aspirante pittore. La noia invade le sue giornate scandite dai turni in un magazzino di giocattoli, il Frankenberg, settore bambole, dove lavora per il periodo natalizio. Ed è qui che arriva l’altra lei: Carol, la Signora Aird. Occhi grigi e profondi segnati dal tempo e dall’imminente divorzio, sofisticata, ricca, capace di ottenere qualsiasi cosa, senza chiedere. E succede. Ci risiamo: gli incontri che cambiano la vita. L’attesa, l’entusiasmo, la frenesia, i dubbi, le incertezze, le paure, ma poi chissenefrega, e quindi amore, sbagliato-giusto-chi lo sa?-chi lo stabilisce?, la fuga sulle strade letterarie di Kerouac, Thelma&Louise ancora, l’ostacolo, l’ansia e poi… E poi?

C’è da chiedersi, e ve lo starete chiedendo probabilmente, “cosa ti aspettavi?”. Beh, sarà la parola perfezione che provoca in me repellenza. L’amore non è perfetto; quando mai lo è stato? Va bene, lasciaci sognare, voi direte. Eppure non riesco a capire come sia possibile pensare, immaginare, credere fermamente, come fa la nostra Therese, che sia lo sguardo dell’altro a muoverci qualcosa dentro. Come se dovessimo scarol1empre aggrapparci al Fato così che, benevolo, ci possa prendere per mano, ancora una volta. Perchè da soli, da soli non si va da nessuna parte.

Ci siamo disabituati all’amore, io credo. Perchè per 280 pagine, Therese non fa altro che pensare a Carol, a quello che piace a Carol, a cosa avrebbe fatto, o detto, o pensato Carol, al profumo di Carol, ai problemi di Carol, al sapore di Carol, al pettine fra i suoi capelli dorati, alle efelidi sul dorso delle sue mani delicate, ai suoi baci, a sua figlia, a suo marito, alla sua migliore amica da sempre innamorata di lei. A Carol che sembra perfetta e che quasi non merita. La Highsmith descrive un personaggio che non può esistere nella realtà. E il fatto che la sua inesistenza appaia così lapalissiana, così netta e drastica, lascia un vuoto incolmabile. Perchè è inevitabile: Carol, ad un certo punto, crolla, riprendendo possesso della sua dimensione umana. Rinuncia alla figlia, alla casa, alla vita agiata, alla sua irraggiungibilità e chiede al suo angelo caduto dallo spazio di andare a vivere con lei. Perchè ne ha bisogno. Ma Therese, intanto profondamente cambiata (davvero? basta scorgere le debolezze nell’altro per sentirci improvvisamente più forti?), indugia sulla risposta.

Il lieto fine, ah il lieto fine. Questa parvenza di un futuro insieme, diverso e quindi, peggio ancora, deludente. Perchè davvero, non ci possiamo immaginare che le due possano amarsi allo stesso modo come in quell’hotel a Waterloo, mentre erano in fuga da un investigatore privato, con l’eccitazione e l’adrenalina della libertà sulle strade d’America, con il passato alle spalle. L’avventura non tornerà, così come quel momento perfetto. Eccola di nuovo, la perfezione: che inutile spreco di tempo continuare a rincorrerla. E quindi il finale aperto, le aspettative. La realtà che irrompe prepotentemente.

Tra le note di Embraceable You ed Easy living, i dialoghi, però, sono di una bellezza più unica che rara. Il modo di guardarsi e toccarsi con le parole delle due è semplicemente emozionante. Meno l’evoluzione del loro amore, che non sembra essere così inaspettato come quell’incontro, anzi, quasi scontato.
Bisogna contestualizzare, certo. Beh, non voglio farlo.

Voto: 5

Mariana Palladino

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